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Padre Giuseppe Massi
“Frei Josè das Capelas”
di Alberto Paoletti
“Araldo di Dio nelle Amazzoni”, “Un santo di Dio è asceso al cielo”, “O santo di Leonessa”, “Figura leggendaria della nostra terra”: furono questi i titoli della stampa cittadina di Manaus (Amazzonia) che scrisse ampi necrològi sulla figura di fra’ Giuseppe Massi, all’indomani della sua scomparsa, il 27 gennaio 1957.
La storia del frate cappuccino iniziò il 26 marzo 1878 a Villa Bigioni di Leonessa, dove nacque da Fausto e Anna Loreti. Il suo nome di battesimo era Francesco, il quinto di sei figli. La sua famiglia viveva del lavoro dei propri campi e probabilmente di piccoli allevamenti che bastavano al sostentamento familiare, spesso difficoltoso; la casa natale – situata nel centro della frazione (piazza degli eroi), era condivisa con i quattro fratelli più grandi: Agostino, Alfonso, Antonio (detto l’africano per aver partecipato alla guerra in Libia) ed Eufranio; e con Letizia, la sorella più piccola.
Poche le notizie fino al 17 aprile 1893, quando, all’età di 15 anni, vestì il saio cappuccino ad Amelia (TR), scegliendo il nome di Giuseppe, probabilmente in onore del Santo di Leonessa, San Giuseppe. Forse la vocazione crebbe in lui sentendo le gesta del Santo Cappuccino di Leonessa, come accadde per P. Ludovico Paciucci, altro missionario che seguì le orme di P. Massi in Amazzonia. Un anno dopo emise la professione di voti semplici ed il 13 agosto 1900 la professione di voti solenni. Fu ordinato sacerdote a Spoleto il 22 dicembre 1900 per le mani di Mons. Domenico Serafini (1855-1918), vescovo della città umbra dal 1900 al 1913.
Nel periodo 1900 – 1909 di fra’ Giuseppe non si conosce molto: fu vice Maestro dei Novizi ad Amelia e probabilmente esercitò il suo ministero nei conventi dei cappuccini della provincia Umbra. Nel 1909 i Superiori Cappuccini dell’Umbria chiesero ufficialmente alla curia Romana una missione in America, in territorio Brasiliano. Il desiderio fu esaudito. Il 30 giugno 1909, dal porto di Napoli salparono quattro frati: P. Domenico Anderlini da Gualdo Tadino, P. Ermenegildo Ponti da Foligno, P. Agatangelo Mirti da Spoleto, Fra Martino Galletta da Ceglie Messapica (Brindisi). Arrivarono a destinazione un mese più tardi: la diocesi di Manaus, la capitale dell’Amazzonia brasiliana, e poi l’Alto Solimões (ai confini tra Colombia e Perù) furono i luoghi della loro missione.
La regione, posta nel Brasile del nord, confina con il Venezuela, con la Colombia e con il Perù. E’ il polmone verde del pianeta: vi è la più grande estensione al mondo di foresta primaria, il Rio delle Amazzoni che divide la regione in due è il fiume più grande del mondo per portata d’acqua: basterebbero questi caratteri per delineare le difficoltà che cento anni fa trovarono i missionari cappuccini umbri.
Ma è stato il clima – equatoriale-umido e fortemente piovoso, con temperature calde e costanti, tra i 30 e i 40 gradi – e le malattie malariche, a piegare anche le più robuste tempre, tanto che P. Domenico da Gualdo, a chi gli domandava cosa avessero “costruito” i missionari nei primi anni in Brasile, usava rispondere: “Siamo rimasti”. Fu sulla scia dei “pionieri” umbri che anche Padre Giuseppe Massi chiese ed ottenne di recarsi in Amazzonia.
Partì il 29 agosto del 1910; pochi mesi ad imparare la lingua nell’Alto Solimões e poi a Manaus nel gennaio del 1911. Come racconta Padre Massi nella lettera al Ministro Provinciale dell’agosto 1939 – che la meritoria opera di Padre Egidio Picucci ci ha fatto conoscere attraverso il libro “Da Leonessa in Amazzonia, missionari cappuccini leonessani”– la sua attività iniziò con le confessioni “nel miglior modo che la conoscenza della lingua mi imponeva” e con un insolito battesimo: “Il primo battesimo da me fatto – scrive fra Giuseppe – fu quello di una «bambina» di 15o anni - la mancanza di un’anagrafe certa fa dubitare della reale età della vecchia donna - . Era malata e da diversi giorni domandava il battesimo. Ne parlarono tutti i giornali ma scrissero che era stato un benedettino ad impartirlo”.
Non bastavano le patologie gravi a rendere dura la vita dei missionari: una malattia agli occhi costrinse fra Giuseppe a mutar clima prima a Belém, la seconda città dell’Amazonas, e poi, di rientro in Italia per le ferie, a Genova (nel 1922). Si doveva combattere anche la diffidenza e la grave crisi che affliggevano le genti indigene. Quest’ultima si ebbe dopo il periodo florido della richiesta della “borracha”, il caucciù, con la quale si produceva la gomma. Dopo che i semi furono esportati furtivamente e coltivati razionalmente e con maggiori redditività in Malesia e Ceylon, l’estrazione in terra amazzonica divenne antieconomica.
La povertà ne fu l’eredità. E i missionari non potevano che affiancare i “seringueiros” (coloro che estraevano la gomma) da sempre sfruttati, procurandosi, di conseguenza, le ostilità dei proprietari, dei padroni e dei governanti. Come spesso accade, la tenacia, il lavoro, l’abnegazione riescono a superare la sfiducia e la diffidenza. Nei primi anni amazzonici, dal 1912 al 1919, fra’ Giuseppe, fu il primo parroco della chiesa di San Sebastiano a Manaus, posta al fianco del teatro Amazonas, anch’esso figlio del boom economico, nel quale sfoggiano i marmi italiani, i cristalli di Venezia e gli affreschi francesi.
Iniziò l’evangelizzazione – che non fu la prima per quei luoghi dove tutti si dicevano già cristiani grazie alla precedente presenza dei padri Gesuiti e Carmelitani – fondando le associazioni religiose che potessero essere valide coadiutrici del parroco: Madonna del Perpetuo Soccorso, di S. Teresina, della Dottrina Cristiana, nonché i gruppi dell’Azione Cattolica.
“Altra sua caratteristica – scrive F. Michelangelo da Merenella, Custode Provinciale O.F.M. Cappuccini nel febbraio del 1957 e suo successore come parroco di San Sebastiano – fu l’apostolato spicciolo tra persona e persona, di casa in casa”. Istituì la visita solenne alle famiglie, cui recava l’immagine del S. Cuore di Gesù e di Maria, restando una giornata intera, pregando e impartendo, se necessario, il sacramento del matrimonio al capo famiglia. Visitava giornalmente tutte le famiglie, anche solo per un fugace saluto: e se all’inizio qualche famiglia ebbe a esclamare: “…già!, il parroco di San Sebastiano non si siede nelle nostre case”, con il tempo apprezzarono le capacità di P. Massi di essere tra tutti. Aveva molto a cuore l’insegnamento del catechismo ai più piccoli, nelle scuole e nelle parrocchie, organizzando premiazioni di ogni tipo, in grado di coinvolgerli ed entusiasmarli.
Assisteva gli infermi, accorreva a qualsiasi ora venisse chiamato. Portava sempre con sé il crocifisso, recitava e predicava il rosario, promuoveva la diffusione della “buona stampa”. “Sebbene non avesse tanta attitudine per la lingua portoghese e non brillasse nell’arte oratoria – scrive F. Michelangelo – tuttavia la sua predicazione era soda e proveniva da convinzioni profonde e sentite”.
La povertà e l’obbedienza, due caratteri fondanti del Francescanesimo erano la sua guida: obbedì sempre agli ordini della Curia, quand’anche non ragionevoli, come la rimozione da parroco di San Sebastiano dopo 30 anni, oppure quando fu fatto Cappellano dell’Ospedale Civile, “attività che non gli si addiceva”, o quando all’ordine dei Cappuccini fu tolta la chiesa della Madonna di Nazaret, da lui edificata, e tutta la popolazione di Manaus si voleva opporre.
Quanto alla povertà, P. Giuseppe faceva amministrare ad altri la gestione delle risorse economiche necessarie a tutte le attività e le opere poste in essere, nonché alle costruzioni che realizzava, rendendo conto “anche dei centesimi spesi per il tramw”, mentre il suo saio era rammendato finché non diventava inservibile.
“La sua purezza – scrive F. Michelangelo – fu come evangelica lucerna, che posta sopra il moggio, illuminava quanti lo avvicinavano. Nei suoi 40 anni e più di apostolato fu sempre tenuto nella più alta venerazione dei fedeli. Nessuno ha mai ardito pronunziare una parola equivoca alla sua presenza”. Una riprova fu proprio lo sdegno provato da P. Giuseppe – come raccontatomi da suo nipote Govanni Massi, figlio del fratello Eufranio – al suo ritorno nel 1922 tra i nostri luoghi, dove l’offesa a Dio con la bestemmia era ed è molto diffusa.
Il suo accoramento per poter espletare il ministero della Confessione era tanto e tale da fargli ripetere spesso ai suoi confratelli: “Dobbiamo confessare!”.
La sua preghiera e le sue meditazioni erano una “reale comunicazione con Dio”, e le sue Messe attente e fedeli alla liturgia della chiesa. Non mancava mai di ricordare di non essere veloci nelle messe, fedele all’adagio “Qui missam praecipitat in infernum praecipitat”. Né amava conversare immediatamente dopo la celebrazione, quando dedicava il tempo – circa mezz’ora – al ringraziamento.
I Cappuccini aiutavano le popolazioni colpite dalla crisi: famoso il detto che se gli abitanti del nord, già immigrati a Manaus, non erano scappati per via della crisi lo si doveva “al piatto di minestra” che i frati offrivano a tutti. Anche a coloro che vivevano di religione mista a superstizione e fantasticheria. Questa era la condizione che P. Giuseppe conosceva bene: ma non rinunciò a portare gli edifici di culto vicino alla gente.
La concretezza del frate poi si è palesata con l’accettazione della proposta di diventare sindaco della città di San Paulo de Olivenca, nel 1926. In quel periodo il presidente dello Stato “do Amazonas” aveva nominato sindaci i missionari cappuccini in grado di proteggere le popolazioni dai soprusi e dalle ingiustizie, persone in grado di amministrare diligentemente la cosa pubblica. Nel 1927 tornò a Manaus a svolgere la propria missione.
Oltre le virtù religiose, resteranno famose le sue costruzioni in Amazzonia: chiese, cappelle, scuole, falegnamerie e fornaci per la realizzazione dei mattoni da costruzione. Fu definito “Frei Josè das Capelas” per via delle sue innumerevoli edicole sacre costruite lungo i fiumi, vicino ai villaggi, nella periferia di Manaus, a Esperança, oggi Benjamin Constant, città fondata da P. Ludovico Paciucci, altro missionario di Leonessa che seguì le orme di P.Massi.
Celebre la costruzione della chiesa di San Josè in Campo Sales, a 17 Km da Manaus, in mezzo alla foresta. Per il luogo, per aver coinvolto tutti gli abitanti che portavano i mattoni a mano a causa della mancanza di vie di comunicazione accessibili da veicoli, per essere stata poi l’epicentro di uno sviluppo cittadino, al punto tale da edificarne un’altra più grande e trasformarla in scuola. Altre infrastrutture vennero a supporto del centro solo quando effettivamente se ne colse l’esigenza. Anche questa era una sua caratteristica.
Imponente la chiesa dedicata alla SS.ma Vergine di Nazareth, iniziata nel 1914 e terminata 5 anni dopo, nonostante i rallentamenti causati della prima guerra mondiale che anche in America si fece sentire. Ad essa seguì il restauro della chiesa di San Sebastiano e la costruzione della casa della Divina Provvidenza, con teatro parrocchiale e scuola di avviamento professionale.
Epica anche la costruzione del Santuario della Madonna di Fatima, che lasciò ultimata in tutta la struttura grezza: perimetro e copertura, una struttura costituita da una imponente cupola. Travagliata la sua realizzazione per le difficoltà nel reperire i fondi necessari e, soprattutto, per l’assenza di competenze tecniche necessarie alla sua costruzione. Fu quasi un suo cruccio: ripeteva spesso che non poteva morire finchè non l’avesse realizzata.
Fu così che la “divina provvidenza” fece giungere a Manaus un ingegnere italiano che istruì e diresse i lavori per la sua realizzazione. P.Giuseppe poteva morire in pace: era il 27 gennaio 1957. Ai funerali, celebrati dal padre Provinciale e dall’arcivescovo di Manaus, partecipò tutta Manaus, autorità politiche comprese, la polizia inviò la sua Banda Musicale. Il carro funebre non servì: tutta la popolazione e i suoi confratelli vollero recare a spalla la salma per gli oltre quattro chilometri di tragitto. Ora riposa nella chiesa di San Sebastiano.
Nella chiesa San Vincenzo Ferreri di Villa Bigioni è presente una lapide che ne ricorda la figura. E’ stata apposta dalla comunità della frazione nel primo centenario della nascita (1978), mentre una delle piazze del paese porta il suo nome. Quando morì P. Ludovico Paciucci, don Giuseppe Chiaretti, oggi arcivescovo di Perugia, scrisse su questo bimestrale: “La morte spezza un corpo, non la vita: la vita continua…”.
È il pensiero più adatto per dimostrare che l’opera di P. Giuseppe Massi e degli altri missionari come P. Ludovico Paciucci, P. Stanislao Antonelli, P. Angelo Maria Gizzi, P. Urbano Gizzi e P. Mauro Coppari, sta proseguendo nello spirito e nelle azioni.
Oggi le notizie che giungono dall’Amazzonia ci narrano di un folto gruppo di Cappuccini, per lo più indigeni, che stanno continuando il lavoro iniziato cento anni fa…
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Bibliografia
Necrologia del M.R.P. Giuseppe Massi da Leonessa – Missionario Cappuccino - 1957 – F. Michelangelo da Merenella - Custode Provinciale O.F.M. Cappuccini -
Archivio di Alfonso Bigioni
P. Ludovico Paciucci - di Giuseppe Chiaretti Leonessa e il suo Santo n. 21, settembre-ottobre 1967
Da Leonessa in Amazzonia – missionari cappuccini leonessani - 2005 – P. Egidio Picucci – Tau Editrice
Sito ufficiale della rivista Leonessa e il suo Santo, Edizioni Leonessa e il Suo Santo - Leonessa (Rieti)
Padri Cappuccini Leonessa - Viale F.Crispi, 31 - 02016 Leonessa (Rieti) - e-mail: suosanto@libero.it copyright 2020 - "Leonessa e il Suo Santo"
Salvo esplicite eccezioni, gli articoli sono liberamente riproducibili citando la fonte "www.leonessaeilsuosanto.it"