Le cronache dal 1964 ad oggi
"L'angolino dei problemi"
Come'era verde il mio altipiano...
di Alberto Paoletti
E' il titolo di una rubrica che ha fatto la sua
comparsa su questo bimestrale dal primo
numero (aprile-maggio 1964) fino al
1969, curata da
don Giovanni Bertassi. Prete
istriano, profugo da Dignano d'Istria, dove nacque
il 25 novembre 1925, "compagno di scuola e
di avventure di don Giacomo Biffi, poi arcivescovo di
Bologna" (cfr. "Preti istriani a Leonessa", novembre-
dicembre 2008, di mons. Giuseppe Chiaretti),
è stato parroco di Ocre e di Terzone dove
lasciò il ricordo di ottimo pastore di anime e
segni tangibili e importanti: fece costruire il
ponte di Ocre che attraversa il fiume Corno e
la strada che collega Trimezzo a Terzone. Fu insegnante
e, successivamente, preside presso la
scuola media di Leonessa e di Trevi (PG), dove
fu trasferito dopo il periodo leonessano e dove
è morto il 14 giugno del 1998.
Attraverso i suoi scritti pubblicati su Leonessa
e il suo Santo si nota il suo piglio schietto,
diretto, autentico, ironico, senza peli sulla lingua,
con una scrittura che molto si avvicina a
quella contemporanea, dai periodi brevi ed essenziali.
I suoi testi - sovente descritti dalla matita
di Luigi Nonni - fanno riflettere e mostrano
un'epoca in forte evoluzione di usi, costumi e
modi di fare che il presule affronta tentando di
ammonire ed indirizzare secondo principi della
morale cattolica.
Nei primi due numeri emerge uno dei
leit-motiv che Leonessa e il Suo Santo rileva e verso
il quale pone una grande attenzione, fin dalla
nascita: l'esodo dei giovani dall'altipiano verso
le città.
Don Giovanni l'affronta rispondendo a delle
lettere di un suo parrocchiano, a partire dal
1961, che dal lavoro della terra è emigrato verso
grandi "porti" e dove, come il Bateau ivre (barca
ubriaca) di Rimbaud non riesce ad attraccare. Secondo
don Giovanni Bertassi, il giovane aveva
scambiato la libertà, la tranquillità, la felicità, la
calma della vita dell'altipiano (fatta anche di
molti sacrifici) per la ricerca disperata di lavoro
- durante un periodo "congiunturalmente sfavorevole"
-, di guadagni, di facili guadagni, in
città. Don Giovanni affronta la questione anche
dal punto di vista della fede, che non ha più un
gran peso nella vita di quella persona e la cui assenza
lo sta portando verso lidi diversi: banconote,
vaglia, assegni. Forse è un caso di
particolare "sfortuna" o era facile incappare in
vere e proprie disgrazie? Rileggendo i due pezzi
oggi, quando lo spopolamento è più che mai in
corso, si capisce quanto i parroci si preoccupassero
- "inermi" - per le sorti dei loro giovani.
Leonessa e il suo Santo nasce in piena "rivoluzione"
sociale ed in quel periodo si colloca
anche don Giovanni con la sua rubrica che
tratta dei temi di strettissima attualità: uno di
questi riguarda una particolare riflessione su alcuni
nomi propri di persona quanto mai originali
che, anche in spregio alla tradizione
cristiana, venivano attribuiti ai neonati. Così
Ateo, Anticristo, Jena e Cimitero sono solo alcuni
dei nomi propri che don Giovanni prende ad
esempio nel suo "angolino". Imporre a creature
innocenti questo peso; manifestare a tutti i propri
complessi genitoriali, fare brutta figura se in
un futuro si cambiasse idea, sono solo alcuni dei
buoni motivi, secondo don Giovanni, per attribuire,
invece, nomi comuni. A proposito del nostro
territorio, rovistando il libro dei battezzati
di Leonessa, i nomi seguivano la tradizione cristiana:
si registravano solo nomi di Santi!
Con la sua esperienza di insegnante ha
affrontato anche il tema della scuola pubblica:
dal "primato delle vacanze della scuola italiana" che
con la sua ironia ha giustificato per "dar tempo
all'intelletto stanco e defatigato di decantarsi dalle elucubrazioni
scolastiche!", alla scuola obbligatoria
per tutti fino ai 18 anni, affinché accrescesse la
cultura dei giovani; ed infine i compiti e limiti
della scuola media, laddove
la materia più
importante non doveva
essere il latino o
l'italiano ma
l'alunno, con i suoi
problemi e le sue esigenze,
dove gli insegnanti
dovevano
essere prima di tutto
educatori. Compito
che la scuola non affronta
da sola: siamo
nel 1966 e la Tv è
nelle case di tutti,
così come i fumetti
sono negli zaini degli
alunni fianco a
fianco ai testi "classici".
Don Giovanni si preoccupava del rischio
dell'atrofizzazione della fantasia e della coscienza
che alcuni di tali strumenti (non tutti!)
potevano comportare: lasciare alla libera immaginazione
un personaggio di un libro è decisamente
diverso dall'individuarlo attraverso il
racconto visto in Tv. Ma don Giovanni riconosce
nella Tv un ottimo mezzo in grado di avvicinare
con molta facilità e velocità ad altre realtà,
quando racconta la storia, la geografia ed i fatti.
Ieri come oggi resta sempre importante selezionare
le trasmissioni e le letture.
Il ruolo della scuola, della famiglia e dei
preti lo individuò con una lettera ai papà ed alle
mamme: ai primi don Giovanni chiese l'educazione
attraverso l'esempio all'onestà, alla frequenza
delle funzioni religiose, al rispetto del
nome di Dio. Alle mamme chiese di badare
all'ordine dello studio, dei libri, del diario e, soprattutto,
di impedire ai papà di far fare incombenze
extra scolastiche tali da impedire lo
studio; ai giovani indicò di praticare l'attività fisica
secondo l'adagio latino Mens sana in corpore
sano: fare ginnastica, essere puliti, amare
l'asprezze delle nostre montagne.
Inoltre manifesta
la via della collaborazione tra sacerdote,
insegnante e genitori per forgiare uomini in
grado di vivere usando la propria coscienza, fuggendo
le contaminazioni della società "moderna".
Ma prima di tutto don Giovanni
Bertassi era un prete: è lui stesso a raccontarci
cosa significhi esserlo, con una risposta ad un
ipotetico operaio che lo accusa di non lavorare,
di non sporcarsi le mani, di non avere le mani
unte o il sudore sulla fronte:
"La mia fatica consuma
tutta la mia giovinezza, in un amore per te che
non conosce il suo soffrire, ma solo il tuo che vuole lenire;
che non sente l'insulto; che combatte per la giustizia,
perché il tuo viso non si contragga più nello
spasimo dell'odio; che si immola senza chiederti grazie,
perché non ha fatto altro che il suo dovere. È una fatica
questa che tu vuoi, proprio come la tua, ma che
non sporca mai. Tu non vuoi che sporchi ma che
renda candido il tuo cuore, che riscaldi i tuoi amori
perché siano sempre come la fiamma della tua fucina.
Ecco la mia fatica; ma tu non la sai vedere: te la dono
ugualmente. (cfr. Leonessa e il suo Santo n.3).
E' stata una rubrica quella di don Giovanni Bertassi
che, partendo da spunti locali, proiettava
Leonessa e il suo Santo verso temi di modernità
particolarmente sentiti, cercando di indirizzare
le coscienze verso il bene comune, mettendo in
guardia dalle scorciatoie della vita che non sempre
conducono dove ci si è prefissi. Dopo di lui,
tali problematiche sono state affrontate estemporaneamente
senza una rubrica costante e ben
definita da molti articolisti proprio perché Leonessa
e il Suo Santo, oltre che rilevare dei fatti dell'altipiano,
è stata sempre pronta a calarsi nella
realtà che la circonda.